Burger senza carne e nomenclatura
Ovvero supposte sapientemente temperate
Da alcuni giorni il brusìo di fondo “vegani sì/vegani no” su internet si sta facendo più rumoroso, fino a permetterci di distinguere chiaramente alcune parole chiave: “UE”, “Hamburger”, “Carne finta”. Sto parlando naturalmente della sentenza (che ormai è tale) che sancisce la possibilità di chiamare un prodotto alimentare “Hamburger vegano”. Un argomento polarizzante, che scatena le tifoserie da un lato e genera falsi problemi dall’altro (che, guarda un po’, in ultima istanza riguardano interessi economici dall’una e dall’altra parte).
La campagna di Assocarni, che possiamo vedere qui sopra, confronta i due preparati e sancisce che un hamburger vegano non è un hamburger, parafrasando gli spot d’oltralpe (“Ceci n’est pas un hamburger”, “Ceci n’est pas un steak”, etc…).
Ho parlato con l’autore della suddetta campagna, che casualmente conosco e del quale ho molta stima, sia a livello personale che professionale. Ho parlato con lui perché reputo difficile che lui creda davvero a quello che scrive.
Ha pubblicato un post su LinkedIn dove riporta la campagna, e siccome è un copywriter molto seguito e il tema è molto caldo, ha ricevuto molti commenti. Riassumendoli, qualcuno dice “Bene, bravo, bis”, parecchi si permettono di dissentire. Le motivazioni sono presto dette:
1) Se posso dire “insalata di pollo” di qualcosa che non contiene insalata ma pollo, perchè non posso chiamare “hamburger di soia” qualcosa che contiene soia ma non è un hamburger?
2) Se esiste il salame di cioccolato, se esistono i frutti di mare, l’insalata russa e il latte detergente, e nessuno si sognerebbe mai di vietarne la pronuncia, perchè non può esistere la salsiccia vegana o il burger di soia?
3) Se trovate davvero un hamburger che contiene solo: “carne bovina”(cit.), ricomincio a mangiare carne anche io (non è vero). Ormai è noto che ci siano più antibiotici che ciccia, e sarebbe più appropriato che gli hamburger, quelli “veri”, fossero venduti in farmacia. Per questo e per una serie di altri motivi (l’elenco di ingredienti improbabile di un burger vegetale, ad esempio) c’è chi lamenta il fatto che ad Assocarni il fatto che un consumatore possa non capire bene l’apporto nutrizionale di un burger vegano (che per assurdo, tanto per dire, è riportato sulla confezione) e confonderlo con la sua variante carnivora, non freghi assolutamente nulla.
L’intento è completamente diverso da quello dichiarato, il che fa di questa campagna né più né meno di una bugia. Una gigantesca boiata. Una presa in giro, come se chi legge fosse così pirla da credere che ad Assocarni non interessi il fatto che il mercato della carne stia uscendo di scena a passo di danza, a causa della maggior consapevolezza delle persone rispetto ai propri consumi e all’ambiente (non lo dico io che gli allevamenti sono una delle cause più importanti del climate change), del Covid e di chissà cos’altro, ma interessi piuttosto che il consumatore sia consapevole di quello che mette nel carrello. Mi ricorda la puntata dei Simpson dove alla scuola di Lisa insegnano ai bambini che le mucche, per “produrre hamburger” si laureano all’Università Bovina. Ah, la trasparenza!
A me sembra che disquisire su “burger vegano sì” o “burger vegano no” sia un bel modo di temperare le supposte, per cercare di appigliarsi a qualsiasi cosa pur di fermare l’avanzata di prodotti vegetali che si propongono come sostitutivi della carne. SOSTITUTIVI, cioè qualcosa che si mangia al posto della carne. Perchè la carne è buona, c’è poco da fare, la carne ci piace (per lo meno piace a molti), ma i motivi per i quali non la mangiamo sono ben altri.
Senza fare del benaltrismo, indicando una ipotetica rotta ad Assocarni invece di tentare di screditare in ogni modo prodotti che di fatto sono inattaccabili o quasi, nonostante i più buffi tentativi del passato di sostenere che chi non mangia carne fa più danni all’ambiente e all’uomo di chi ne mangia quotidianamente (sì, quel rumore che sentite sono le loro unghie sul vetro, echeggia ancora nell’aria), mi limito a sbeffeggiarne i goffi tentativi, seppur perpetrati con chi di marketing se ne intende. Ma che miracoli non può farne.